Crolli in Cina: errori costruttivi e mancanza di controlli compromettono la stabilità degli edifici
Non è raro leggere sui media cinesi di edifici che crollano senza motivi apparenti, spesso comportando la morte o il ferimento delle persone che si trovavano al loro interno. Si tratta per la maggior parte di edifici costruiti negli anni ’80-’90: tra i cinesi stessi si ironizza affermando che i loro palazzi non durano più di trent’anni, e questi crolli sembrano esserne una conferma lampante. Nel 2009 a Shanghai (vedi foto) un palazzo di 13 piani si abbatté improvvisamente, rimanendo sostanzialmente integro, a causa di errori nell’organizzazione del cantiere. In seguito fu demolito.
Il crollo avvenuto nel 2014 nella città di Fenghua nello Zhejiang ha aumentato la consapevolezza dei cittadini, che hanno notato il grande numero di incidenti dovuti in primo luogo alla scarsa qualità dei materiali impiegati per le costruzioni.
Gli anni ’80 e ’90 sono stati infatti quelli della prima grande ondata di costruzioni, in un periodo nel quale le aree urbane crescevano in modo impetuoso. Per un lungo perido la costruzione di appartamenti non riusciva a soddisfare la domanda, così molte unità di lavoro hanno iniziato a costruire grandi quantità di edifici che poi venivano venduti ai lavoratori a condizioni vantaggiose, una misura paragonabile ad un ammortizzatore sociale per le masse di immigrati dalla provincia.
Solo che, viste le condizioni dell’epoca, il criterio principale per le costruzioni era di tipo utilitaristico, fornire rapidamente alloggi a grandi masse di persone partendo da investimenti limitati, e a spese quindi della qualità e dell’accuratezza del lavoro. A peggiorare la situazione, il contesto in cui avvenivano le costruzioni risentiva di indebite intromissioni da parte delle autorità, un sistema in cui i controlli erano praticamente assenti, irregolarità diffuse, e tecniche generalmente di basso livello.
Per inquadrare il contesto dell’epoca bisogna considerare che il mercato immobiliare cresceva incontrollato, molte imprese non erano qualificate, il personale era costituito da ex agricoltori improvvisatisi operai, gli stessi direttori dei lavori erano non professionisti. Spesso le proporzioni dell’impasto di cemento erano sbilanciate, col risultato che la qualità finale era del tutto inadeguata e le capacità di carico effettive risultavano ben al di sotto di quelle progettate. Un altro problema era quello costituito dalla presenza di certificazioni e documentazioni irregolari o contraffatte, il che, considerando gli standard di sicurezza già minimi, comportava ulteriori rischi.
Sono pochi gli edifici che sfuggono a questa logica, in particolare quelli realizzati per le grandi compagnie o per un numero ristretto di istituzioni, per le quali invece sono stati adottati criteri più che buoni anche rispetto agli standard dell’epoca: sebbene la tecnica costruttiva fosse la stessa, in questi edifici il rispetto delle regole e dei principi di sicurezza era costante, tanto che tra di essi non sono stati registrati crolli.
Ma in tutti gli altri casi, le analogie di esigenze e principi costruttivi hanno contribuito a uniformare i progetti, che prevedevano generalmente un’altezza di 5-6 piani, struttura in cemento e mattoni, elementi prefabbricati, tendenza al risparmio dove possibile (muri sottili), pavimento in cemento e nessun sistema di riscaldamento. Quanto agli spazi, l’estensione classica era di circa 50 metri quadrati nei quali trovavano posto stanze piccole e una cucina di dimensioni minime.
Le strutture così realizzate non erano abbastanza solide, né potrebbero resistere a sismi o cedimenti, e il grado di rischio aumenta man mano che le altezze crescono. Si era scelto di costruire fino a cinque piani perché quello è il limite strutturale della tecnica a cemento e mattori, oltre al fatto che per altezze maggiori sarebbe stato necessario installare un ascensore. Eppure in molti casi l’impresa costruttrice ha modificato i progetti in corso d’opera, compromettendone la stabilità: per esempio, nel caso del crollo avvvenuto nella città di Zunyi erano stati aggiunti quattro piani al di sopra del progetto originale.
Un altro fattore che peggiorava la vivibilità di questi edifici era lo spessore ridotto dei muri perimetrali, che per risparmiare erano stati costruiti più sottili di quanto necessario per un adeguato isolamento termico in inverno. I muri interni e quelli divisori erano a loro volta ancora più sottili, fino a 6 cm, escludendo anche l’isolamento acustico. Tuttavia il peso di questi muri gravava su strutture inadeguate e non adatte a sopportarne il carico.
La bassa qualità e le dotazioni minime, che pure al momento della costruzione erano sufficienti, sono diventate rapidamente obsolete, e gli occupanti sono stati costretti ad eseguire continue modifiche e ristrutturazioni per adeguare gli appartamenti agli standard abitativi moderni, appesantendo e indebolendo strutture già fragili. La mancanza di controlli ha poi accelerato la fine dell’agibilità di questi palazzi.
In effetti negli anni ’80 e ’90 il sistema di sorveglianza era poco sviluppato e lacunoso: un sistema globale di supervisione fu promosso solo dopo il 1996, quando già erano emersi innumerevoli casi di irregolarità. In quel periodo peraltro prescrizioni come quelle relative alla sicurezza, all’antisismicità o al risparmio energetico, oggi in vigore, non esistevano affatto o non erano tenute in considerazione, né dai costruttori né dalle amministrazioni pubbliche. Queste infatti premiavano in primo luogo la velocità di realizzazione e di consegna.
Se in quella fase di urbanizzazione le imprese edili hanno realizzato ingenti profitti con costruzioni dissennate, i veri problemi però sono emersi adesso, e costringono le amministrazioni pubbliche o i contribuenti attuali a pagarne le spese, spesso in assenza di un quadro normativo chiaro. Nel 2012 Hong Kong ha avviato un piano di controllo dell’edilizia separando in modo chiaro le responsabilità dei proprietari e del governo: al governo spetta l’esecuzone dei controlli, mentre i proprietari si devono occupare di manutenzione e revisione. Alcuni esperti propongono questo di estendere come modello quanto prima nella Cina continentale.
Il problema infatti è chi debba addossarsi adesso le responsabilità per i danni causati da immobili costruiti decenni prima. Una settimana dopo il crollo di Fenghua il Ministero per l’edilizia e lo sviluppo aveva pianificato di far controllare lo stato degli edifici pericolanti di tutta la Cina, ma tale misura d’emergenza non sembra aver avuto effetti rilevanti.
Per prima cosa bisogna individuare le cause del danno, e non sempre è semplice e non sempre i risultati delle perizie sono accettati da tutte le parti coinvolte. L’auspicio è che le autorità si facciano carico di questo problema prendendo provvedimenti incisivi, a partire da una preliminare ricognizione dei punti di criticità spesso nascosti, e prevedendo interventi più accurati e mirati.
Articolo originale: http://www.cinaliano.it/blog/crolli-in-cina.html